I supporti: la pergamena, il papiro, la carta e l’avorio
Nel
Medioevo
europeo,
e
fino
alla
prima
età
moderna,
il
supporto
più
utilizzato
per
le
opere
letterarie
e
l’arte
miniata
fu
la
pergamena.
Il
suo
nome
deriverebbe
dalla
città
di
Pergamo,
nei
pressi
di
Smirne,
l’attuale
Izmir,
nella
Turchia
occidentale,
e
la
sua
scoperta
risalirebbe
al
III
secolo a.C.
Per
alcuni
secoli
essa
sarebbe
stata
utilizzata
secondo
le
stesse
modalità
del
papiro:
dopo
essere
stata
tagliata
in
fogli
rettangolari,
questi
ultimi
venivano
cuciti
a
formare
dei
rotoli.
Solo
a
partire
dal
II
secolo
d.C.
i
fogli
iniziarono
a
essere
piegati
una,
due
o
tre
volte
–
costituendo
i
cosiddetti
formati
in
foglio
,
in
quarto
,
in
ottavo
–
per
essere
raccolti
in
un
volume.
Da
quel
momento,
ai
rotoli
in
papiro
e
in
pergamena
–
in
latino,
rotulus
o
volumen
–
si
vennero
a
sostituire sempre più i codici, dal latino
caudex
, tronco d’albero.
Per
la
produzione
erano
utilizzate
le
pelli
di
diversi
animali
aventi
differenti
caratteristiche,
come
capre,
montoni,
vitelli,
maiali
e
agnelli.
Per
i
grandi
libri
liturgici
venivano
usate
la
pelle
di
porco
o
di
agnello,
mentre,
per
ottenere
pergamene
fini
–
velin
in
francese,
velino
in
italiano – erano preferite le pelli di capretti o vitelli nati morti.
Naturalmente,
con
il
passare
del
tempo,
nacquero
delle
vere
e
proprie
botteghe
dedicate
alla
produzione
e
al
commercio
di
questo
materiale.
Se
ne
ha
testimonianza
in
diversi
manoscritti,
come
la
Cronaca
di
Floriano
e
Pietro
Villola
(fig.
1),
della
fine
de
XIV
secolo,
ora
a
Bologna.
La
pelle
veniva
privata
del
pelo
e
della
carne
e
resa
imputrescibile
tramite
la
disidratazione,
l’essicamento
sul
telaio
e
la
levigazione
che,
a
differenza
della
lavorazione
del cuoio – la concia – non prevedeva un processo chimico.
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