Nelle   raffigurazioni   di   questo   ignoto   miniatore   –   che   alcuni   studiosi hanno   individuato   nel   pittore   di   origini   italiche   della   corte   di   Ottone III   –   la   fisicità   delle   figure   è   realistica,   in   particolare   attraverso   il ricorso   alla   tecnica   della   lumeggiatura,   utilizzata   per   evidenziare   i volumi.   Allo   stesso   tempo   vi   è   un   uso   attento   dei   colori,   su   tutti   i toni   del   blu   e   del   rosso,   selezionati   in   modo   da   amalgamarsi   in modo    gradevole.    Ma    un    apice    tanto    alto    dell’arte    non    poteva essere che un punto di riferimento difficilmente raggiungibile. Il   modello   del   Registrum   Gregorii ,   infatti,   si   estese   a   tutti   i   centri scrittori    dell’impero.    Di    esso    si    impossessarono,    in    particolare,    i    numerosi    monasteri tedeschi   che   avevano   accolto   con   favore   la   riforma   partita   dall’abazia   di   Gorze   nel   933, sostenitrice   di   uno   stretto   legame   con   le   autorità   laiche   e,   perciò,   con   la   dinastia   ottoniana. Ciò   che   ne   uscì,   tuttavia,   fu,   spesso,   una   spenta   imitazione.   Il   monumentale   realismo dettato   dalla   corte   imperiale   finì,   infatti,   per   trasformarsi   in   un   rigido   accademismo   privo   di viva   profondità   artistica,   come   appare   dall’ Evangeliario   di   Enrico   II    (fig.   24,   Sogno   di Giuseppe), prodotto a Reichenau tra il 1007 e il 1012.
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Testi di Davide Busi
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