Il metodo di lavoro: dal Trecento al Rinascimento
Alla
svolta
del
Trecento
a
colpire
è
un
fattore
più
di
altri:
la
relazione
tra
pittura
e
miniatura.
Essa,
infatti,
diviene
più
stretta
o,
forse,
appare
tale
grazie
alla
conservazione
delle
opere
pittoriche,
monumentali
o
su
tavola,
che,
invece,
per
i
secoli
precedenti,
non
si
è
verificata.
Basta
osservare
una
miniatura
di
Gherarduccio
o
Duccio,
artista
presente
a
Padova
durante
il
periodo
patavino
di
Giotto,
all’inizio
del
XIV
secolo,
per
constatare
come
la
pittura
diventi
modello imprescindibile per l’arte miniata.
Questa
interazione,
tuttavia,
non
è
riservata
solo
a
coloro
che,
per
vicinanza
territoriale,
hanno
a
disposizione
delle
opere
di
rilievo
da
osservare.
La
mobilità
degli
artisti,
infatti,
permette
a
molti
di
essi
di
fare
propri,
annotandoli
su
quaderni
di
appunti,
modelli
stranieri,
e
di
importarli
nel
luogo
di
residenza
e
di
lavoro,
oppure
di
esportare
la
propria
esperienza
e
conoscenza
trasferendosi in un paese diverso da quello di origine.
Così
accade
per
miniatori
francesi
o
fiamminghi,
quali
Jean
Pucelle,
Jean
Fouquet
e
i
fratelli
Limbourg,
che
soggiornano
in
Italia,
e
a
molti
artisti
che,
partiti
dalle
Fiandre
e
dalla
penisola
italiana, giungono a Parigi.
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